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Il “bipolarismo” portuale italiano

Terminal portuali
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La logistica marittimo-portuale ci offre sempre di più un effetto di mirroring dell’evoluzione del tessuto produttivo ed economico di un Paese; a maggior ragione del nostro Paese che deve confrontarsi sempre di più con la multimodalità/intermodalità marittima affinché sia i consumi che i processi produttivi possano essere soddisfatti nella forma maggiormente efficace. A volte si omette il fatto che l’Italia è logisticamente una base logistica complessa stante le sue caratteristiche orografiche fatte di pendenze longitudinali (Appennini) e latitudinali (Alpi) con Porti in gran parte naturali ed intimamente connessi ad agglomerati urbani molto densamente popolati o caratterizzati da siti di rilevante interesse turistico-culturale. In sintesi, non siamo un Paese facile dal punto di vista logistico, nonostante il fatto, apparentemente positivo, di avere circa 8.000 km. Di coste, 53 porti principali ed oltre 140 porti totali, e che ciò possa far sembrare il nostro come un Paese di facile accesso.
L’analisi dei trade a volte può svelarci, in maniera semplice, elementi di valutazione interessanti che possono fungere da spie di segnalazione per coloro che hanno il compito di indirizzare gli investimenti infrastrutturali, e/o regolare l’utilizzo degli spazi logistici portuali attraverso il regime attualmente in essere (landlord).
È chiaro ed evidente da un’analisi di confronto puntuale tra l’andamento dei traffici nei nostri porti tra il 2017 (primo anno di rilevazione in base alle istituite AdSP) ed il 2024 che ad esempio:
Il traffico contenitori si è di fatto ridotto, al netto dell’effetto transhipment del porto di Gioia Tauro, del 5% circa passando in sintesi da 8,3 mil. teus a 7,9 mil. teus
Il lato Tirrenico intercetta circa il 78% del traffico container Italiano
L’ambito Adriatico, seppur, marginale, vede circa il 90% allocato sui Porti di Trieste, Venezia e Ravenna.
Il traffico container, alla luce del size e della velocità sempre maggiore delle navi, tende a scalare meno porti ed in aree più a Nord e vicine alle destinazioni finali
Come interpretare questi dati ai fini strategici?
Appare chiaro innanzitutto che la presenza dei maggiori centri metropolitani (Genova, Firenze, Roma, Napoli, Palermo) orienta, dal punto di vista demografico, i consumi maggiormente sul versante Tirrenico, a ciò aggiungasi che i maggiori poli manifatturieri di prodotti finiti ed intermedi sono localizzati a ridosso dei porti Tirrenici e si interfacciano in export con le direttrici Nord-Europa e Nord Atlantico. Inoltre, il fatto che Trieste rappresenti il 50% del residuo traffico container del versante Adriatico, fa comprendere che, con l’avvento di navi sempre più veloci e capienti l’arco Nord-Est, per quanto concerne i container, sia destinato a fungere da spoke and hub con le zone Europee a maggior crescita demografica ed economica (Est Europa).
Basterebbe quanto sopra, in condizioni di un trend consolidato statico del traffico container, ad indurre le scelte di politica portuale maggiormente verso il porto di Trieste ma, soprattutto ad evitare una tendenza da overinvesting sul fronte Tirrenico dove, a fronte di circa 2,5 bn di investimenti di sola parte pubblica, si dovrà gestire una maggiore capacità portuale di oltre 5 mil. di teus, praticamente poco meno del volume totale attuale accolto nei porti Italiani.
Tornando all’analisi dei traffici rispetto alla portualità, diversamente dal traffico container, il segmento RORO vede un incremento cumulato del 8,2% al netto del traffico transitato attraverso lo Stretto di Messina. Tale incremento, se misurato sul dato globale ed inclusivo di tale traffico risulta ancora più marcato e pari al 15%; ciò a riprova che l’ambito RORO costituisce probabilmente la modalità marittima più consona ad assicurare la continuità territoriale e le connessioni nel nostro Paese che è, al tempo stesso, ampiamente popolato (nonostante il calo demografico) e caratterizzato da un’economia manifatturiera e di consumi interni abbastanza variegato nelle tipologie di merce e nelle produzioni primarie (basti pensare alle rilevanti produzioni di prodotti alimentari agricoli e vegetali freschi che vengono mossi da sud a nord dell’Italia; nonché che l’area Tirrenica è totalmente dominante per tale traffico RORO, e costituisce circa il 75% se si esclude il transito sulle Stretto, mentre in ’Adriatico il residuo 25% è destinato soprattutto alle connessioni con l’Area Balcanica e Turca. In tale chiave risulta ancor più vivo il rammarico per non avere avuto la capacità di utilizzare i Fondi stanziati dal Fondo Complementare al PNRR per il rinnovo delle flotte di cabotaggio.
Passiamo, infine, all’analisi del traffico che maggiormente caratterizza la manifattura e la trasformazione intermedia delle merci grezze, ovvero al Bulk e “Merci Varie”.
Nel periodo oggetto di analisi i suddetti traffici sembrano declinare da 91 mil. di tons a 67 circa; occorre però analizzare i dati in maniera maggiormente “granulare” per trarne delle considerazioni corrette e, soprattutto, indicative ai fini di politica portuale. La suddetta riduzione assume connotati più blandi se si esclude dal calcolo la forte riduzione di traffico connessa alla dismissione o riduzione delle attività in alcuni poli produttivi relativi all’energia o all’industria siderurgica, in primis : Taranto, Brindisi, Civitavecchia. Ma se procediamo in maggior dettaglio si nota che, mentre i porti localizzati a sud hanno perso progressivamente smalto in quanto la desertificazione industriale ed il deshoring hanno caratterizzato molti dei tradizionali poli e distretti produttivi in tale area; a Nord invece, ed in particolare a Nord-Est si è verificata una certa stabilità, se non incremento, del trade (es. Venezia), a dimostrazione del fatto che i maggiori distretti industriali, legati soprattutto alla trasformazione intermedia (cerealicolo, zootecnico, chimico, componenti e materiali, siderurgico) hanno e sono stati alimentati dai suddetti porti. Volendo dare un numero, possiamo affermare che:
Proprio in tale visione, a mio avviso, sarebbe stata necessaria una maggiore attenzione da parte della politica portuale tesa ad investire per migliorare soprattutto l’accessibilità portuale, piuttosto che la capacità, in tale area relativamente a tale tipo di traffici; penso ad esempio alla necessità di maggiori e migliori dragaggi a Venezia, Monfalcone e Porto Nogaro. La prova tangibile è rappresentata da Ravenna dove un’acuta gestione delle risorse finanziarie ha fatto si che ci siano le premesse proprio nel senso descritto. Ma tali decisioni non possono essere contestualizzate ad un solo porto ma richiedono una visione più ampia e di sistema e sottosistemi. Ad ogni modo, proprio a rimarcare il dominio Adriatico nel segmento bulk e merci varie la percentuale di traffico attribuibile a tale ambito è passata dal 50% ad oltre il 60% sull’arco temporale analizzato (2017-2024).
In estrema conclusione possiamo affermare che occorre sempre di più prendere atto che le decisioni in tema di strategia portuale non possono ignorare questo “bipolarismo” portuale in cui il Tirreno è focalizzato maggiormente sulla logisticadei consumi e, quindi, delle merci finite, mentre l’Adriatico è, invece imperniato sulle materie prime e la trasformazione di beni intermedi.
Volendo chiudere con una battuta, possiamo dire che l’evoluzione recente dei traffici portuali italiani rimarca una vocazione prevalentemente produttiva sulla sponda est ed un’altra maggiormente tesa ai beni di consumo su quella Tirrenica.